Se fossi davvero capace di scrivere, al posto di un blog farei un libro, e diventerei ricco.

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venerdì 11 marzo 2022

Post n.26: Quote latte, bugie globalizzate e guerra all'ipocrisia

Provincia di Cremona, in un paese di campagna.
Anno 2008.

- Ah sei tu quello che ha studiato e scrive le notizie?
- buongiorno, sì, piacere Roberto, ma guardi che le notizie le scrivo per conto mio, cioè il mio è un sito internet di controinformazione che...
- lascia stare le cazzate, vieni di là che ti faccio vedere una cosa.

Il padre di Sandra era un bell'uomo, anzi, bellissimo: alto, spalle larghe, occhi azzurri e grandi, che ti fissano senza indugio, fossette sulle guance sporche di barba incolta, e capelli mossi, così perfetti da poter sfidare qualunque servizio fotografico. Fisico statuario, non da palestra, ma da uomo di campagna, molto, molto più massiccio; stretta di mano decisamente virile, densa di significato.

foto tratta da https://terraevita.edagricole.it

A prima vista, quella famiglia sembrava perfetta per una sit-com americana, erano tutti di bell'aspetto, sempre che la bellezza sia un valore universalmente riconosciuto: padre, madre, figlia e figlio, tutti bellissimi.
L'unica cosa che stonava, era la mancata apertura mentale verso le forme non convenzionali di sessualità che entrambi i figli stavano vivendo, e contro cui i genitori provavano inutilmente a lottare, ma questa è un'altra storia (forse).
Alberto mi porta in cortile, nel retro di casa, facendomi uscire dalla porta-finestra della cucina, e riesco ad udire un po' meglio il lamento delle mucche a cui fanno male le mammelle, perché non tutti i giorni si passa a mungerle, come si faceva prima.
- qualcuno dall'alto dei cieli in Europa ha deciso che noi dobbiamo pagare per il latte che produciamo in più, perché hanno deciso – ogni volta che pronuncia la parola deciso alza rabbiosamente la voce, muove il collo e la testa in alto a sinistra o destra, ad indicare quelli là dell'Europa, un'entità lontana dai problemi di tutti i giorni, incapace di aiutare gli allevatori, ma capacissima di inventare nuove regolamenti assurdi e multe – che ad ognuno di noi è assegnato un numero specifico di quote latte da produrre in base al numero di capi allevati, e se produciamo di più, prendiamo la multa... ma tu che hai studiato – per la seconda volta, mi sento in imbarazzo, vorrei spiegargli che, sì, certo, ho studiato, ma vengo da una famiglia umile, io stesso ho fatto mille lavori umili e soprattutto conosco molto bene il suo problema – mi spieghi come cazzo faccio io ad obbligare le mie cento mucche a fare il latte che voglio io eh? -.

Il prelievo supplementare, questo il nome del prezzo da pagare dagli allevatori per ogni chilogrammo prodotto oltre la quota latte stabilita, doveva essere una misura a favore degli allevatori stessi stabilita dalla Comunità Europea già dal 1984, per un meccanismo finanziario che non è adesso il caso di approfondire, ma ciò che li fece infiammare anziché rallegrare, fu il calcolo di base del quantitativo totale di latte che, nel nostro Paese, presumibilmente veniva consegnato dalla produzione alle imprese di trasformazione (caseari). Ovviamente, i conti non tornarono.
I Italia, i conti non tornano mai.
Le sanzioni ai produttori, poi, fioccavano per diversi motivi: qualcuno produceva più latte del previsto (previsto rispetto alle famose quote assegnate da “altri” anni prima ed “altrove”), c'è chi banalmente dichiarava più capi di quelli che aveva, così da assicurarsi una certa manovrabilità di movimento (anche se ho 90 mucche, se ne dichiaro 100 posso produrre più latte, e mi arrivano anche vari aiuti statali ed europei, finché non mi scoprono).
Neanche a dirlo, c'é anche chi assegna quote latte a soggetti inesistenti, e chi maneggia latte in nero.
Che di per sé fa abbastanza ridere. A me il latte in nero fa pensare al latte col cioccolato.
Invece c'é poco da ridere.

Guardo Alberto, mentre rientriamo in cucina dal cortile, prendo nota delle sue parole, devo scrivere un articolo per il mio InformaReagire, intanto lui continua a bestemmiare con quell'accento un po' cremasco ed un po' bergamasco – C. e V. son terre di confine, non si capisce bene a chi appartiene il loro dialetto, forse solo a loro, e nessun altro – e mi chiedo a cosa potrà servire la mia empatia, se nulla posso fare per lui, e se il mio articolo avrà un qualche senso.
Sua moglie, che non parla mai tranne per dire al marito di stare calmo che gli fa male alla pressione, mi sorride e, mentre la mia amica Sandra è ancora al telefono con la sua compagna, mi prepara un caffè.
Lui non smette più di parlare, mi bombarda di mettici anche questo nell'articolo, e di e poi sai cosa devo fare? Mi tocca curare le vacche senza fargli l'antibiotico, sennò viene il veterinario poi mi manda i carabinieri e mi fanno un culo così.
Il caffè è buono, mi piace anche l'aria di campagna e, lo so che non ci crederete, ma ho sempre amato l'odore delle stalle, non so spiegarvi il motivo; forse, qualche ricordo primario nascosto nei meandri del mio cervello. Quell'odore entra dalla finestra, e per un istante spero poter vivere anche io lì.
Sandra è uscita in cortile continuare più liberamente la telefonata, Alberto – che qualche tempo prima l'aveva cacciata di casa, salvo poi riammetterla, perché l'espulsione degli omosessuali e delle lesbiche dai villaggi è fuori moda da tempo - la osserva, poi sposta il suo sguardo verso me e fa una smorfia indicandola col mento, come a dire “toh, la tua amica, mia figlia, perché non me la scopi tu, che magari torna normale?”.

Un istante dopo entra Mirco, il fratello di Sandra, ragazzino diciassettenne, magrolino, ciuffo sparato verso il cielo come solo negli anni '80 si poteva pensare di fare, orecchino, occhi lievemente truccati.
Non saluta il padre.
Con me è freddo, come sempre e senza un motivo, mi chiama per cognome - Ciao D'Izzia - e subito dopo esce.
Alberto scuote la testa, questa volta si alza, e con un - va beh, lasciamo stare, vado a dare da mangiare alle vacche - si avvia alla porta della cucina che dà sul cortile, e quindi verso le stalle. Poi mi guarda, e con tono un po' serio, e un po' canzonatorio mi dice - questo non mettercelo nel tuo articolo, va bene? -.
Non faccio neanche in tempo a salutarlo che la porta-finestra è già chiusa, ed io rimango un po' imbarazzato con la tazzina del caffè davanti ormai vuota, la mia amica in cortile ancora al telefono, Luisa (questo il nome che credo fosse della mamma, dato che nessuno me l'aveva presentata)  fuori scena da un po', impegnata da mestieri casalinghi, e il mio quaderno pasticciato da appunti sparsi che guarderò in un secondo momento.
Ricordo come fosse ieri i minuti dilatati che ho vissuto subito dopo, e fino a quando Sandra rientrò per salvarmi; gli odori, le immagini, le emozioni, per ciò ne scrivo lucidamente dopo quattordici anni.

Questo è il mondo che abbiamo creato.
Siamo europei tardo-medioevali travestiti da non so cosa, gente moderna, credo.

Dietro la sofferenza delle guerre belliche e quelle finanziarie, dietro ogni lotta di classe ed ogni sfida per la sopravvivenza, c'è una grande bugia di fondo, che porta il nome di globalizzazione: una globalizzazione di idee, oggetti, beni, servizi e, soprattutto, di bisogni indotti.
La bugia non è il nobile concetto con cui viene spacciata al mercato, poiché questo è condiviso da tutti noi, speranzosi di comunicare con chissà chi in ogni parte del mondo; la bugia è il modo in cui viene perseguita, la globalizzazione, vale a dire attuando strategie di mercato utili solo a ridurre il potere d’acquisto degli stipendi, mercanteggiando il costo delle merci con i diritti dei cittadini lavoratori e non lavoratori, ottenuti con anni e anni di lotte e sacrifici.
Ad ogni conferenza stampa, ad ogni intervista (palesemente preparata), ad ogni intervento in programmi televisivi, presidenti del consiglio, ministri e parlamentari, giurano e spergiurano che la priorità del loro operato è salvaguardare il potere d’acquisto dei cittadini, nonché i diritti acquisiti.
Sono sicuramente un po’ rincoglionito io, ma non ho ancora visto gli interventi “protettivi” di cui sopra e sto al varco ad aspettare; ho visto invece la bolletta di € 890,00 che mi è arrivata ‘sto mese, e la benzina alla macchina che adesso la faccio con la pipetta della melatonina, per non sprecare troppe gocce.

Una bugia che non ci permette di capire per quale motivo importiamo ed esportiamo ovunque nel mondo (vedi ITALIA IN DATI,
ho sintetizzato un loro grafico per questo post), ma restiamo il terzo paese in Europa per tasso di disoccupazione.
La bugia che ci viene profusa con generosità è semplicemente lo stile di vita che abbiamo adottato, non noi singolarmente, ma noi come società; il cibo, gli scambi di materie prime fra stati distanti migliaia di chilometri, lo spreco di carburanti, lo sfruttamento di manodopera a condizioni umane inaccettabili, la lenta e consapevole distruzione del pianeta.
La bugia che ci stanno imboccando come un dolce e morbido biscottino da latte
sono gli ingredienti scritti nelle confezioni del cibo che acquistiamo, e la loro provenienza palesemente falsa o tendenziosa.

Ho in mano un pacco di pasta, non vi dico la marca, copio e incollo quello che c’è scritto sugli ingredienti: MADE IN ITALY, PRODOTTO E CONFEZIONATO DA *** ROVATO, BS, ITALY, PRODOTTO IN ITALIA, PAESE DI MOLLITURA: ITALIA… indovinate cosa c’è scritto alla voce “paese di coltivazione del grano”…?
Bravi coglioni, avete pensato che la pasta fosse “italiana”, come me del resto, e invece in piccolino, nel retro, in basso, c’è scritto (in corsivo e con carattere finissimo): coltivazione del grano UE e non UE.

Capito perché non posso credere a nessun giornalista, a nessun politico, e nessuno che parli in tv, tranne quelli, ovviamente che hanno il coraggio di smascherare questo sistema di bugie incrostate?
Il gas dalla Russia, cazzo ragazzi, il 07 Marzo 2006 a Bologna, Beppe Grillo registrava lo spettacolo “incantesimi”- non esisteva ancora il Movimento 5 Stelle – ed io comprai il dvd di quella registrazione; beh, sul piano energetico dell’Italia, sul gas, sul carbone, sul nucleare, su ciò di cui parlano oggi tutti, cascando dal pero, Grillo dedicava lunghi monologhi in quello spettacolo, già 16 anni fa, com’è possibile? Era un mago?
No, ma figuriamoci, sono argomenti che tutti conosciamo, e che fanno parte della grande bugia della globalizzazione.
Vorrei tanto sbagliarmi su tutto, miei cari piccoli lettori confusi, ma temo che con la scusa della guerra in Ucraina si stia già lavorando per la creazione di un unico “account” energetico europeo in cui noi come cittadini singoli perderemo totalmente peso (mi sbaglio? Fatemi sapere commentando il post), e che le bugia della globalizzazione stia crescendo come il pisello della favola.
Solo che la principessa siamo noi.

 

nota: il regime delle quote latte, aperto nel 1984, si è concluso il 1° Aprile 2015, momento dopo il quale è per la produzione di latte di è ripristinato il mercato libero. La conclusione era stata decisa già nel 2003, cinque anni prima dell’epoca in cui è ambientato il racconto di questo post, che è reale a parte i nomi che ho deciso di cambiare.
Per ulteriori approfondimenti, potete dare una lettura ai seguenti link:

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