Soprattutto, verrebbe da porsi un’altra domanda, in merito al racconto menzionato nel titolo, vale a dire: una volta cominciato, come lo finisco?
In uno dei motori di ricerca più famosi, che non sto qui a nominare, sappiate che alla query “come scrivere una storia dell'orrore?”, si materializzano ben 2.710.000 risultati in soli 0.48 secondi; di questi, ho letto la prima decina, per capire fino a cosa si sono spinti gli altri prima di me, su questo argomento.
Poi, curioso, ho continuato a leggere, ma potevo fermarmi ai primi tre contenuti.
Sì, perché l’internet è una valanga di consigli su come scrivere racconti horror, e devo dire anche che sono tutti molto puntuali; per esempio, molto spesso viene dato un suggerimento assolutamente valido, in merito ad un’attività imprescindibile da svolgere prima di cimentarsi nell’arte della scrittura, vale a dire leggere libri di altri autori, molti libri (dell’orrore chiaramente), e non potrei fare a meno di dare inizio al post senza accodarmi ad un consiglio così importante, per una serie smisurata di motivi.
Lasciatemi dire, però, che ho il terrore di scrivere qualcosa di scontato, quindi questa prima considerazione ve la risparmio, perché spero che se volete diventare degli scrittori è perché in vita avete letto almeno due libri, e non vi siete fermati lì.
Molti, molti consigli, dunque… migliaia, milioni, però mancano di qualcosa: qualcosa di indefinito, un ingrediente che, invece, è fondamentale affinché dalla penna – sì, va bene, dalla tastiera – di un autore nasca una novella nera davvero spiazzante per il lettore.
Miei cari bimbi sperduti nella penisola che purtroppo c’è, come potete facilmente immaginare, ogni scrittore ha i suoi metodi, e con questi senz’altro anche segreti di cui, probabilmente, è pacificamente geloso, e talvolta perfino magicamente inconsapevole, quindi partirei già da questa considerazione per rendermi conto di quanto parziale possa essere un mini corso di scrittura creativa on-line, però io stesso accenno a lezioni di scrittura creativa, quando ho l’opportunità di realizzare laboratori teatrali, e… quindi? Di cosa voglio parlare io stesso se non di “trucchi del mestiere”?
Beh, parlo di come scrivo io e cosa ne penso, parlo di emozioni, senza rivelarvi troppo eh.
Vedete, la Letteratura è sorella del Teatro, e c’è un punto chiave su cui si basa il più grande segreto del successo di ugni tipo di brano: la verità.
A tutti sul web piace citare Stephen King, a proposito di racconti dell’orrore, ma non capisco perché citano le sue frasi, anziché i suoi racconti; sarà che queste si trovano sui motori di ricerca già virgolettate e pronte per l’uso, mentre i libri vanno letti, e quelli di King, mediamente sono alti come mattoni pieni da cantiere.
A me, invece, pensando a Stephen King piace ricordare Il gioco di Gerald, per la sua incredibile linearità e per il meccanismo perfetto: lo psicodramma (teatrale) dell’unica stanza senza possibilità di fuga per la protagonista, un personaggio indecifrabile che fa capolino, un finale tanto semplice quanto inatteso.
Oppure, la violenza devastante del maschio forte in Rose Madder, che accompagna il lettore verso un’innaturale alternanza fra realtà (crudele) e mitologia greca femminea.
Che dire di The Shining, condensato di idee geniali perfettamente dosate, l’una frammista all’altra: l’hotel maledetto costruito sopra il cimitero dei nativi, bambino e padre uniti da una strana “aura”, una moglie-madre laboriosa ma estranea all’energia dell’hotel e vittima degli eventi, la stanza 217, e poi la bufera che blocca tutto - tocco geniale - il cuoco, mister Hallorann, terzo personaggio con l’aura (chissà come mai, anche lui) che arriva in soccorso, Tony, l’amico immaginario del piccolo Danny, Jack che salva la famiglia in extremis dandosi la morte con una mazza mentre l’Overlook va in fiamme…
Oh, quasi mi commuovo, The Shining è incredibile, unico nel suo genere, ma molto probabilmente sono stati scritti migliaia di libri altrettanto avvincenti nel mondo, ed io non posso avere la folle pretesa di averli letti tutti per fare confronti.
Io, come nessun altro, credo.
Tornando a noi, accennavo alla verità teatrale, però, e voglio spiegarmi meglio: posto che situazioni e caratterizzazioni dei personaggi, in una novella horror siano credibili (nell’Overlook Hotel, l’isolamento invernale da un lato ed una concretissima pressione della caldaia da tenere continuamente sotto controllo scandiscono il ritmo del romanzo, classici elementi da psicodramma e roleplay teatrale), laddove anche i dialoghi e lo svolgersi delle azioni più semplici si presentano del tutto normali (colloquio di lavoro di Jack, la presentazione iniziale dell’Hotel), allora sì che il lettore dimentica di trovarsi ovunque si trovi in quell’istante e, prima che se ne renda conto, le sue reti neurali lo trasportano in una realtà parallela.
A quel punto, egli è stato accalappiato dalla calamita dell’intreccio e, oramai, crede: la storia è pronta a colpirlo, nel suo inconscio e nella sua memoria visiva si fa ricorso a tutta una serie di immagini e ricordi che scatenano – o dovrebbero scatenare – le giuste emozioni che fanno di quel racconto, un racconto horror.
Già, le giuste emozioni.
Quali sarebbero, queste emozioni legate all’orrore?
Apro Treccani e leggo:
orróre s. m. [dal lat. horror -oris, der. di horrere (v. orrido)]. – 1. a. Impressione violenta di ribrezzo, di repulsione, di spavento, provocata nell’animo da cose, avvenimenti, oggetti, persone che siano in sé brutti, crudeli, ripugnanti e sim.: vista, spettacolo, racconto che fa (o mette, suscita, desta, ispira, incute) o.; misfatti che riempiono di o.; provare o. alla vista del sangue; essere preso, compreso, còlto, invaso da o., da un senso di o.; rabbrividire, fremere d’o.; un brivido, un moto, un gesto d’o.; un grido di o. si levò dalla folla; film dell’o. (e con sign. collettivo cinema dell’o., per indicare il genere), basati sull’orrido e sul macabro (v. horror).
Ovviamente, gli esempi sono innumerevoli, ma ho voluto fermarmi qui.
L’orrore è, dunque, qualcosa di brutto e fastidioso alla vista, ma anche al pensiero e all’anima; nella terza pagina di questo blog, quella dedicata al mio libro (leggi QUI, oppure scorri in alto, sotto al titolo del blog, e clicca su Gli incontri del cimitero di C.) già parlo di questa parola, e non voglio ripetermi; in questo post mi soffermo sul come scrivere qualcosa di orrorifico.
Bene, adesso so che voglio essere fedele alla realtà - agire e non recitare, diceva il buon Stanislavskij - ho inquadrato il giusto sentimento da concretizzare (orrore, non solo suspense), non mi resta altro che scegliere la trama della mia storia: cosa racconterò?
Ora, se mi è rimasta, miei cari bimbi sperduti, un minimo di coerenza, non continuerò questo articolo accennando a come tecnicamente si crea un intreccio, di quali parti è composto un racconto, come svilupparlo, come concluderlo perfino. Per quello ci sono già i 2.710.000 risultati di cui sopra.
Io vi sto accennando ad altro.
Vi sto dicendo che se vi metterete alla tastiera così, all’improvviso, decidendo di scrivere un racconto horror come si decide di fare un panino con la marmellata, allora sappiate che probabilmente il panino con la marmellata regalerà alla vostra autostima una dose ben maggiore di energia positiva, perché sarà il vostro risultato migliore.
Con me funziona in un modo diverso, anche se mangio parecchia marmellata.
La paura di un racconto deve nascere dentro di me, e deve funzionare.
Quando vado a letto, quando mi alzo, quando vado in giro, se mi faccio la doccia, se passeggio col cane, se medito - soprattutto se medito – quando sto per addormentarmi o sono al pc per un altro motivo, e perfino mentre sto chiacchierando con qualcuno… in tutti questi momenti allevo dentro il mio pensiero quel germe di storia che sto per scrivere, per capire come va, in che modo potrebbe svilupparsi, al di là dei dettagli che, magari si potrebbero perdere, ma con carta e penna a portata di mano posso trattenere.
Scrivo il finale, a volte, anzi spesso, cercando di capire se è teatrale secondo i miei canoni (ricordate, il vero di Stanislavskij?), se i personaggi, gli oggetti in scena sono realistici.
Io faccio una gran fatica ad approcciarmi al fantasy.
Un mio caro amico ha letto Gli incontri del cimitero di C. ed altri racconti dell’orrore (lo vuoi leggere? Clicca QUI), mi ha detto “sai Roby, nonostante le trame assolutamente imprevedibili, rimani razionalista”. Ha ragione, e perfino se devo descrivere un fantasma, faccio appello ai fenomeni della fisica.
Il mio maestro è Edgar Alla Poe.
Voi direte “Ma come, un visionario come Poe?”.
No, miei cari, quello era realismo allo stato puro, erano i temi a far spaventare: non confondete l’argomento trattato con lo stile di scrittura o l’intreccio utilizzato.
Ne Il pozzo e il Pendolo il protagonista vive un incubo a sogni aperti, una tortura sensoriale continua; parrebbe un racconto onirico, ma funziona perché realistico a tutti gli effetti, tant’è che tutti noi abbiamo letto – e, forse, visto anche al cinema – cos’era in grado di fare il braccio armato dell’Inquisizione Spagnola, e più ci addentriamo nell’intreccio del racconto di Poe, più rimandiamo le immagini raccontate a fatti che sappiamo esser realmente esistiti, e perciò orripilanti.
Questa è verità, questo è orrore.
Bene.
Il passo successivo è la pazienza.
Se davvero ho ascoltato un’idea, l’ho accolta, mi ha fatto paura, i personaggi che penso faranno parte della storia e i contorni sono credibili, allora non mi resta che aspettare.
Mai nulla è stato devastante per un’idea creativa quanto la fretta.
Ed infatti, aspettando, moltissime idee si sono dissolte nell’etere, perché depositato il loro nettare fragolino e fragrante, hanno scoperto la loro vera identità fatta di parole al vento, idee banali e sicura perdita di tempo per me e per fortunati mai lettori.
I racconti di cui mi sono innamorato li ho tenuti a mente per molto, molto tempo, prima di scriverli, e poi, quando mi sono deciso, li ho messi giù in pochissime ore.
Badate, alcuni li ho scritti a macchina, con una foga incredibile, rapito da una forza inarrestabile.
Sapete come si dice? Dal tramonto all’alba. Proprio così, dal tramonto all’alba, con le dita doloranti.
Da diversi mesi, per esempio, c’è una storia che mi gironzola in testa, è già tutta lì; avrei potuto partecipare a qualche gara di narrativa noir, questa estate, ma non l’ho fatto, perché preferisco aspettare il momento giusto per cominciare a scrivere.
So che i tempi sono quasi maturi, perché la storia fa paura, e mi stanno venendo in mente addirittura già le singole frasi da inserire in momenti cruciali; ci vuole pazienza.
Cosa volete che vi dica, forse un grande scrittore affermato non può permettersi il lusso di aspettare, ma io, per il momento, sono ancora libero di spaventarmi come e quando mi pare.