Se fossi davvero capace di scrivere, al posto di un blog farei un libro, e diventerei ricco.

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lunedì 24 ottobre 2022

Post n.92_ Quando è notte (live)

Da una poesia scritta il 08 Marzo 2009.
Un’altra rivisitazione nel live per AreYouReading, tenutasi il 27/11/2021 a Cesenatico, (vedi l’altra QUI ).
Brano forse solo all’apparenza malinconico, lo interpreto per la prima volta in pubblico.
Com’è andata?
Parole chiave del post: 
#RobertoDIzziascrittore #poesia #live #attorezen #teatro #poesia #robertodizzia #scrittura #recitazione #lettura #interpretazione #improvvisazione

sabato 22 ottobre 2022

Post n.91_ Ho cercato (live)

Da una poesia scritta il 25 Agosto 2007.
In questa partecipazione live per AreYouReading, tenutasi il 27/11/2021 a Cesenatico, rivisito il mio testo meta-filosofico, in un intervento molto breve, ad introdurre un’altra poesia (che pubblicherò).

Parole chiave del post: 
#filosofia #poesia #ricercainteriore #consapevolezza #live #attorezen #teatro #poesia #robertodizzia


venerdì 21 ottobre 2022

Post n.90_ Evoluzioni musicali

M Elodie da brivido... 


Parole chiave del post:
#elodie #bagnoamezzanotte #tosca #luciodalla #rispondimi #musica #romanticismo #unoduetrealza

martedì 11 ottobre 2022

Post n.89_ Il Diavolo umano, The Black Alien Project e considerazioni varie sulla Body modification

   Passeggiando per le pallide e cocenti spiagge di Praia Grande, a San Paolo (Brasile), ti potresti trovare fra migliaia, splendidi giovanotti abbronzati in costume, che godono con gioia della loro freschezza, con palme colorate e possenti grattacieli a fare di sfondo; un quadro che al solo pensiero mette voglia di vivere, di lasciarsi coinvolgere in balli latini, di bibite ghiacciate e appuntamenti avventurosi.

   Chiacchierando allegro con la persona che hai appena conosciuto e convinto a venire con te al chiosco del cocco, potresti imbatterti però in un individuo che, fino a pochi istanti prima, difficilmente avresti pensato di incontrare, almeno, non in quell’occasione, e sicuramente non nella tua dimensione.

Un uomo possente, di circa 45 anni, il cui corpo è quasi interamente tatuato, ma non totalmente, perché molteplici striature su più direzioni ricordano il colore della sua pelle, e stanno a significare degli sfregi, o significativi graffi.

La sua presenza non sarebbe particolarmente eccezionale – non sono rarissime, ormai, persone che decidono di tatuare il blu scuro o il nero totale sul corpo, a prescindere da qualsiasi forma artistica rappresenti, disegni o scritte – se non fosse per la sua testa.

  Già, perché il capo, ed il volto di quell’uomo cambierebbero davvero la tua spensierata chiacchierata verso il chiosco; lui, con un lento ma deciso percorso, si è tramutato in qualcosa di diverso da ciò che era qualche anno fa, ed oggi si fa chiamare Diabaopraddo, Diavolo Praddo, l’uomo demone, o diavolo che sia.

   

   Ha modificato la sua arcata dentale: adesso mandibola e mascella sono diverse, più larghe, adatte ad accogliere zanne affilate e sporgenti, aguzze come quelle d’un cinghiale, nella parte sotto, e denti acuminati che ricordano quelli d’uno squalo bianco, davanti soprattutto, al posto degli incisivi e di quasi tutti gli altri denti.

Dei suoi capelli non c’è più traccia, a parte una piccola cresta, perché la testa, visibilmente deformata, adesso presenta diverse bozze a rappresentar corna e, a parte queste, dalla pelle sbucano due fila di corna vere e proprie, bianche come avorio ed appuntite, curve come mezzelune, non enormi come quelle d’un toro, per fortuna.

Il ragazzo ha deciso di farsi asportare le orecchie, dichiarando fra l’altro di sentire un brivido di soddisfazione, perché sentiva di togliere qualcosa che non gli apparteneva, quindi al loro posto vedresti delle cavità arricciate abbastanza impressionanti, e lo stesso senso di raccapriccio potrebbe coglierti impreparato scorgendo il suo naso perché… beh, perché il suo naso non c’è più. Della trasformazione, anche l’asportazione del naso ha fatto parte, così come quella di due dita, i due anulari ad essere precisi.

   Vorresti guardarlo dritto negli occhi per capire meglio chi è: sono lo specchio dell’anima, si dice, ma i suoi occhi sono irrimediabilmente e totalmente tatuati, anche al proprio interno, e pare che il colore scuro della pupilla si sia irradiato alla congiuntiva, oscurando l’iride e la cornea.


   Così, al posto della fresca bevanda a base di cocco e chissà quale strano intruglio alcolico ammazza turista, finiresti col chiedere una bottiglietta d’acqua, perché a guardare quell’uomo, ti si è seccata definitivamente la gola.

I passanti si fanno un selfie con Michel Faro Praddo, anzi, Diabao Praddo, perché una persona così difficilmente si può incontrare ovunque.

Lui, il diavolo umano, professionista Tattoo, gira in compagnia della moglie, specializzata in body modification, artefice di molte sue fasi della metamorfosi; una ragazza altrettanto singolare, con pupille colorate, corna rosso fuoco sulla fronte e corpo scolpito (chissà, se del tutto naturale), quasi interamente coperto dall’inchiostro, abbigliamento curatissimo, che ricorda lontanamente lo stile steampunk.

Resti fermo giusto il tempo per perdere la persona che ti stava accanto, che intanto se n’è già andata, ma a te poco importa: tu guardi, rapito dalla disinvoltura con cui la coppia passeggia fra l’incredulità della gente e le simpatiche battute. Ti avvicini, ma non capisci bene cosa dice l’uomo: speri parli in inglese, e invece parla portoghese (ma dai?) e la sua dizione è inevitabilmente modificata dalle protesi dentarie e dalle protuberanze presenti su tutta la bocca.

La coppia si allontana, tu finisci di bere l’acqua e ti siedi sulla prima panchina disponibile per riflettere sulla scena che hai appena visto.

Già: cos’hai visto esattamente?

Due appassionati di tatuaggi e body modification estremo oppure un gruppo di persone che chiedono di fare un selfie con loro?

 

E voi?

Voi ve lo fareste un selfie accanto al Diabao Michel Faro Praddo?


   Miei cari bimbi sperduti nella penisola che purtroppo c’è, devo ammettere che quando ho deciso di scrivere questo post mi sono veramente sentito a disagio, un disagio intimo e profondo, perché la sottile linea rossa fra stupore e giudizio è davvero subdola, e non voglio certo rovinarmi con le mie stesse mani, scrivendo qualche cazzata di troppo. Cazzata che, del resto, potrei serenamente evitare non pubblicando nulla sull’argomento.

   Ho appena postato un meme sul Diabao (QUI), ma quella è satira, lo sapete come funziona, è stato più forte di me, non potevo certo lasciarmi sfuggire un’occasione così.

Il tema, però, è molto forte, più di quanto si pensi, tanto che sono convinto non si riesca neanche a risolvere (tsè) con un singolo post.

   Mi chiedo, guardando le foto di Michel, da lui stesso pubblicate, cosa porta un ragazzo a spingersi oltre, oltre ogni limite, oltre all’impianto di zanne e corna varie, fino a giungere là nel territorio inesplorato della modificazione estrema, dove ci si fa tagliare di netto il naso, la lingua, le orecchie e due dita; dove si chiede alla moglie di farsi iniettare del silicone in testa e poi, quando questo gonfia incontrollato, pubblicare un video su IG in cui si racconta ai followers che, sì, fa un po’ male, ma va tutto bene, e fra un po’ dovrebbe sgonfiarsi.

Spingersi nella zona misteriosa e misterica della mente, laddove si decide di dichiarare ai giornalisti che non è finita lì, perché il desiderio di trasformazione è troppo forte, e forse le mani fra un po’ diventeranno dei veri e propri artigli.


   Anche Anthony Loffredo, ha molto da raccontare, sapete.

Era davvero stanco della sua vita terrestre, e per questo si è fatto amputare alcune dita di mano e piedi (e quelle rimaste le ha modificate vistosamente), ha tatuato corpo e bulbi oculari, si è fatto dividere la lingua in due, asportare naso, orecchie e parte di labbra. Una volta inserito diversi impianti sottocutanei e subìte molteplici operazioni chirurgiche, finalmente ha cominciato a farsi chiamare “The Black Alien Project”.

Il gran bel ragazzo che era prima, ora si presenta come un ‘essere’ antropomorfo, totalmente colorato e deforme, davvero singolare, che ogni giorno ha a che fare con problemi di integrazione e di “incomprensione” da parte estranei e parenti, perfino di violenza psicologica ed insulti (QUI un’intervista al quotidiano Midi Libre).

 

   Che dire, abbiamo una questione aperta di estetica?

Stiamo vivendo la realizzazione di sogni che sono sempre esistiti, ma che prima non era possibile realizzare?

Oppure, cari miei lettori (siete ancora svegli, vero?), ci troviamo davanti al più grande caso di condizionamento di massa che si sia visto?

Perché, può anche darsi che, la butto lì eh, ciò che prima non passava neanche per la testa a certe persone, oggi diventa un bisogno, sì, ma un bisogno indotto che, frammisto ad una incredibile fragilità dell’io, si trasforma in un’altrettanto incredibile voglia di diventare, chessò, l’uomo pappagallo, tipo Ted Richards (guarda ‘mpò QUI)

   …oppure, chissà se è questione di ben altri bisogni, la bella spesuccia di UN milione di sterline del buon Rodrigo Alves, che tanto ha fatto per assomigliare a Ken, il famoso fidanzatino della Barbie. Soldoni spesi, per poi ascoltare la sua vera sessualità, e quindi dopo 90 interventi chirurgici diventare una bellissima ragazza di nome Jessica.

   Forse, nel suo caso sarebbe bastato un unico percorso di autoascolto, sin dall’inizio, per capire che la trasformazione da fare poteva essere solo ed unicamente l’ultima, così, come moltissime persone del mondo, Rodrigo avrebbe potuto spendere qualche migliaio di sterline, e la bella Jessica sarebbe uscita subito dal suo bozzolo per spiegare le ali della libertà.


   Quando io pubblico foto in cui faccio il vampiro con gli occhi rossi, è perché ho partecipato a riprese video per la RAI, o perché partecipavo ad un gioco di ruolo intitolato, appunto, VAMPIRI eh, beh, quegli occhi erano banali lenti a contatto colorate e graduate; io sono io, sono io e sono io (3 volte). Non un vampiro.
Quello era teatro, o TV.


   Dunque, ragazzi, sarebbe opportuno affrontare un percorso di autoascolto e di ricerca interiore, prima di procedere con mutilazioni e scarificazioni estetiche?

Pensate che, nel mondo di oggi, siamo abbastanza sereni e consapevoli del nostro “io” da capire, con l’opportuna fermezza, se è giusto per noi toglierci quattro dita sane e due orecchie, solo per assomigliare ad un alieno?

  Per inciso… stiamo studiando miliardi di galassie, per ora nessuna presenza di vita, quindi la forma di alieno copiata è solo un’immagine indotta da film, fumetti e cartoni animati, oltre a disegni, segnalazioni varie e, ovviamente, stupende e spassosissime apparizioni dell’infinita epopea televisiva di Star Trek.

Idem per l’immagine di demoni e vampiruzzi che, fino a prova contraria, non esistono.

Assomigliare a loro, vuol dire assomigliare al nulla.

   L’estetica del male nasce da disegnetti religiosi, realizzati da gente molto, molto brava a dipingere, e
soprattutto dotata di grande fantasia; immagini che, nel caso di una certa importante religione, sono state addirittura confermate da poveri disgraziati sotto tortura, per qualche centinaio di anni di inquisizione.
Se avessero inventato diavoli con fiorellini in testa e occhi dolci, oggi avremmo gente tatuata con occhi luminosissimi e candide margherite impiantate sulla fronte.

   Quindi... domande valide prima di tali trasformazioni potrebbero essere: Io chi sono, dunque? Amo davvero i demoni per voler assomigliare a loro?
Sono sicuro che l’immagine di questi demoni sia reale – quindi “meritevole” di rispetto – oppure si tratta banalmente di faccette inventate da autori di serie tv americane, videogames o fumetti giapponesi?

   Sono sicuro di non amarmi più, oppure è accaduto qualcosa di esterno a me durante la mia crescita che mi ha portato a non accettarmi per quello che sono, e semplicemente mi mancano gli strumenti e le conoscenze per apprezzare il mio corpo e la mia personalità?

Pratico almeno dieci minuti di meditazione al giorno?

So come funziona il mio cervello e conosco i meccanismi più elementari dei circuiti neurali che portano alle mie scelte quotidiane?


Sono solo domande, le mie, che non posso fare a meno di pormi quando mi trovo davanti la differenza fra tatuaggi e mutilazioni, fra applicazione di piercing e scarificazioni estreme, fra inserimento di impianti sottocutanei e trasformazione di cranio e mandibola.

Non dico che bisogna per forza andare da uno psicologo o uno psicoterapeuta, per legge.

Sicuramente, per me, un professionista di body modification o un chirurgo, dovrebbero avere la capacità di accompagnare chi si candida alla trasformazione da umano a uomo uccello o alieno, in un percorso intimo verso la scoperta del proprio io, e la quiete, la calma.

Morire suicidi nel proprio box come Dennis Avner, l’uomo gatto, dopo aver deciso di diventare tigre, è, secondo me, un percorso diverso dalle cose meravigliose che potremmo realizzare come esseri umani, con 150.000 dollari a disposizione.

 

E voi, miei cari lettorozzi, cosa ne pensate?

Se siete arrivati fin qui, siete dei super lettori, e allora vi va di lasciare un vostro commento qui sotto, così apriamo una bella discussione?


...e mi raccomando, iscrivetevi al blog, condividete, e passate parola ;)


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domenica 9 ottobre 2022

Post n.88_ Body Modification... sì, ma stavo scherzando eh

Post muto


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Post n.87_ Echi dal cimitero di C. - dal racconto n.7: Il morbo

   L’uomo è un essere superiore: nella sua straordinaria capacità di osservare, accumula informazioni, e sulla base di queste elabora teorie, per poi agire opportunamente.
Così, avevo capito che quando sentivo quel fastidioso senso di astinenza […]
(dal racconto n.7: Il morbo)

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lunedì 3 ottobre 2022

Post n.86_ POSSIBILI INCERTEZZE


Pss…c’è qualcuno?
Toc toc sei qualcuno?
Ah, eccoti qui, non t’avevo udito,
ne’ visto, capito o percepito,
avevo un po’ perso strada.
“COSCIENZA”
Anima, intelligenza, come t’han chiamato?
Forse stavi meglio senza nome,
avrebbero evitato gli errori di scrittura
o, quasi certamente, avremmo evitato
gli errori di concetto.
Li facciamo anche
col povero maiale…!
Doppia eresia, doppia storpiatura,
se t’offendo e ti do del “porco-cane”!
Avete mai accarezzato
un dolce cucciolo di un mese?
Ma perché ci sforziamo
di dar nomi a pensieri tanto cuccioli
e quasi certamente illesi…?!
Non credo di esser libero
neanche di chiamarti
“quella roba lì”,
sicuro che nel viso degli stolti
un sorriso (e forse molti) senza dubbio
vedrei nascere o apparire,
persino crescere e morire.
Bello questo abbozzo di metafora:
la vita come una risata.
O il sorriso che ha il valore
di un’intera vita?
Pss…ma c’è qualcuno oppure no?
E va bè, credo d’aver capito.
A impossibili domande,
introvabili risposte.

   D’Izzia Roberto (16/09/2003, ore 14.40)

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Post n.85_ Ho cercato


“Ho cercato me stesso fra i sassi
della spiaggia.
Sai che ho trovato?”
 
“No.”
 
“Sassi.”
 
     D’Izzia Roberto (25/08/2007)

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domenica 2 ottobre 2022

Post n.84_ Guerra in Ucraina. Armi e parole: molto rumore per nulla.

02 Ottobre 2022, ad oggi sono passati 220 giorni da quando la Russia ha deciso di destabilizzare la calma razzista medio borghese dell'italico occidentale bianchissimo, che sperava di dover parlare male solo di immigrati dalla pelle molto scura, buoni solo per spacciare droga, raccogliere pomodori a due euro o pulire bagni negli autogrill.
   In 220 giorni, ho assistito deluso alla sconfitta della pace – mi correggo, all’ennesima sconfitta della pace – perché, come primissima reazione del mondo civilizzato, seguita da tutte le altre, identiche l’una all’altra, non ho visto la nascita di alcun tavolo di trattativa urgente, alcun disperato tentativo di chiusura immediata del conflitto, alcuna corsa contro il tempo per la risoluzione tempestiva del disastro che era esploso, e quello che si stava preannunciando. Nessuna veste stracciata. 
Nessuno si è legato ai cancelli.
La motivazione è che non si può fare trattative con un pazzo come Putin.
   Già, se tutti hanno deciso che il capo di una nazione armata è pazzo, come minimo per far cessare immediatamente i conflitti e detronizzarlo, la cosa più intelligente da fare è dargli tutti addosso come cani rabbiosi.
Fare sanzioni a Putin e aiutare militarmente Zelensky, questa è stata la strategia tattica dell’Europa.
Bene.
   L’Europa sta avallando l’idea che esiste una guerra giusta, quella per difendersi.
Bene di nuovo, ma non è per questo che stavo scrivendo il post, che sono contro la guerra a tutti i costi l’avevo già scritto, e lo dico ovunque.
 
Il punto è un altro.
Oggi affrontiamo una falsa crisi energetica, stiamo vivendo l’inflazione indotta dagli squali della finanza e del mercato, e cosa riescono a partorire i geni europei?
Niente.
   La Germania semplicemente e banalmente, per esempio,  vuole mettere in campo uno scudo da 200 miliardi per calmierare i prezzi delle bollette dei propri cittadini, alla faccia di tutti; per capirci, noi quei soldi ce li sogniamo in 3 anni. La premessa della Nadef (nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza) spiega che dei 191,5 miliardi assegnati all’Italia “circa 21 saranno effettivamente spesi entro la fine di quest’anno. Restano circa 170 miliardi da spendere nei prossimi 3 anni e mezzo”, risorse che “se pienamente utilizzate” daranno “un contributo significativo alla crescita”.
   Cioè, l’Italia prevede di usare 191,5 miliardi del PNRR in 3 anni (63,83 miliardi all’anno), di “nostro” abbiamo forse un calo del debito che libererà 8-10 miliardi, mentre la Germania vuole dare ai propri cittadini 200 miliardi di auro solo questo inverno per calmierare il costo delle bollette.
   Notare che quando noi facciamo i conti, usiamo evanescenti “circa” e “se”, perfino nei documenti ufficiali, mentre gli altri tirano fuori la pecunia tintinnante senza se e senza ma.
Comunque, cittadini per i tedeschi vuol dire anche imprese, quelle che da loro diventeranno più competitive, non ci vuole un genio in economia per fare due conti e capire cosa accadrà a noi. Le nostre imprese andranno in crisi, la concorrenza della Germania sarà troppo forte, in più la gente comune in Italia non avrà soldi per consumare, non girerà moneta.
Sta già accadendo.
Wow.
   Abbiamo, però, investito parecchi soldi in armi. Purtroppo, l’Italia ha deciso di segretare la missione in Ucraina, chissà perché, quindi non sapremo mai quanto ci costa mandare armi a favore di un paese non appartenente all’Europa.
Queste cose non capisco.
 
Dunque, siamo con le pezze al culo.
Scusate, cari lettori, voi sapete bene che sono di animo gentile, ma oggi mi sento particolarmente frizzante, e proprio questa ve la voglio dire.
Siamo con le pezze al culo e sapete la notizia del giorno qual è?
Che dopo un referendum, valido o no, la Russia si è annessa quattro regioni ucraine: Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia.
   Cioè, 220 giorni di bombardamenti e violenza da un lato, Zelensky ha raccolto uomini da tutta Europa chiamandoli al sacrificio estremo per la Patria, l’Europa si è incartata con la storia delle sanzioni, sempre più pesanti, sempre meno utili, la russofobia cieca dilaga ovunque, moriremo fra un po’ tutti di fame e freddo, e come risultato Putin ha fatto esattamente quello che voleva fare 220 giorni fa.
Un capolavoro di politica internazionale.
   Scusate amici, io proprio non so come scriverlo, mi sento in imbarazzo, davvero, è in questi momenti della vita che ci sarebbe bisogno di una grotta a portata di mano, per rifugiarsi e meditare molto più di quanto si fa con un po’ di sano yoga.
 
   La domanda è: non potevano mettersi attorno ad un tavolo di trattative serie 220 giorni fa, senza stragi, cannonate, sanzioni, disastri economici mondiali?
Una trattativa da 20 giorni, notti comprese intendo, tutti lì a studiare il modo di uscirne.
Putin è pazzo, non scemo. 
Si fossero presentati TUTTI i capi di stato a dire "Oh, fermo lì, spetta, parliamone tutti insieme, guerra brutta, guerra sbagliata, Zelensky vieni qua pure te, dai sediamoci", vi assicuro che ora non stavo qua a scrivere con le lacrime agli occhi e lo stomaco irrigidito.
No.
Ora siamo tutti in merda, morti ovunque, e il “pazzo” di cui sopra è molto, molto, molto più forte di prima, perché odiato da tutti e colpito da tutti, quindi ha argomenti più solidi, e questa volta reali, non più da mitomane: l’occidente ci odia.
 
Tutti hanno blaterato in nome della pace, ma hanno solo fatto solo molto rumore per nulla.

 
 
Immagine di sfondo tratta da:
RaiNews
Parole chiave del post:
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sabato 1 ottobre 2022

Post n.83_ Scrivere un racconto dell’orrore. Da dove cominciare?

   Soprattutto, verrebbe da porsi un’altra domanda, in merito al racconto menzionato nel titolo, vale a dire: una volta cominciato, come lo finisco? 
In uno dei motori di ricerca più famosi, che non sto qui a nominare, sappiate che alla query “come scrivere una storia dell'orrore?”, si materializzano ben 2.710.000 risultati in soli 0.48 secondi; di questi, ho letto la prima decina, per capire fino a cosa si sono spinti gli altri prima di me, su questo argomento.
Poi, curioso, ho continuato a leggere, ma potevo fermarmi ai primi tre contenuti.
Sì, perché l’internet è una valanga di consigli su come scrivere racconti horror, e devo dire anche che sono tutti molto puntuali; per esempio, molto spesso viene dato un suggerimento assolutamente valido, in merito ad un’attività imprescindibile da svolgere prima di cimentarsi nell’arte della scrittura, vale a dire leggere libri di altri autori, molti libri (dell’orrore chiaramente), e non potrei fare a meno di dare inizio al post senza accodarmi ad un consiglio così importante, per una serie smisurata di motivi.
   Lasciatemi dire, però, che ho il terrore di scrivere qualcosa di scontato, quindi questa prima considerazione ve la risparmio, perché spero che se volete diventare degli scrittori è perché in vita avete letto almeno due libri, e non vi siete fermati lì.
Molti, molti consigli, dunque… migliaia, milioni,  però mancano di qualcosa: qualcosa di indefinito, un ingrediente che, invece, è fondamentale affinché dalla penna – sì, va bene, dalla tastiera – di un autore nasca una novella nera davvero spiazzante per il lettore.
   Miei cari bimbi sperduti nella penisola che purtroppo c’è, come potete facilmente immaginare, ogni scrittore ha i suoi metodi, e con questi senz’altro anche segreti di cui, probabilmente, è pacificamente geloso, e talvolta perfino magicamente inconsapevole, quindi partirei già da questa considerazione per rendermi conto di quanto parziale possa essere un mini corso di scrittura creativa on-line, però io stesso accenno a lezioni di scrittura creativa, quando ho l’opportunità di realizzare laboratori teatrali, e… quindi? Di cosa voglio parlare io stesso se non di “trucchi del mestiere”?
Beh, parlo di come scrivo io e cosa ne penso, parlo di emozioni, senza rivelarvi troppo eh.
   Vedete, la Letteratura è sorella del Teatro, e c’è un punto chiave su cui si basa il più grande segreto del successo di ugni tipo di brano: la verità.
   A tutti sul web piace citare Stephen King, a proposito di racconti dell’orrore, ma non capisco perché citano le sue frasi, anziché i suoi racconti; sarà che queste si trovano sui motori di ricerca già virgolettate e pronte per l’uso, mentre i libri vanno letti, e quelli di King, mediamente sono alti come mattoni pieni da cantiere.
A me, invece, pensando a Stephen King piace ricordare Il gioco di Gerald, per la sua incredibile linearità e per il meccanismo perfetto: lo psicodramma (teatrale) dell’unica stanza senza possibilità di fuga per la protagonista, un personaggio indecifrabile che fa capolino, un finale tanto semplice quanto inatteso.
   Oppure, la violenza devastante del maschio forte in Rose Madder, che accompagna il lettore verso un’innaturale alternanza fra realtà (crudele) e mitologia greca femminea.
  Che dire di The Shining, condensato di idee geniali perfettamente dosate, l’una frammista all’altra: l’hotel maledetto costruito sopra il cimitero dei nativi, bambino e padre uniti da una strana “aura”, una moglie-madre laboriosa ma estranea all’energia dell’hotel e vittima degli eventi, la stanza 217, e poi la bufera che blocca tutto - tocco geniale - il cuoco, mister Hallorann, terzo personaggio con l’aura (chissà come mai, anche lui) che arriva in soccorso, Tony, l’amico immaginario del piccolo Danny, Jack che salva la famiglia in extremis dandosi la morte con una mazza mentre l’Overlook va in fiamme…
Oh, quasi mi commuovo, The Shining è incredibile, unico nel suo genere, ma molto probabilmente sono stati scritti migliaia di libri altrettanto avvincenti nel mondo, ed io non posso avere la folle pretesa di averli letti tutti per fare confronti.
Io, come nessun altro, credo.
   Tornando a noi, accennavo alla verità teatrale, però, e voglio spiegarmi meglio: posto che situazioni e caratterizzazioni dei personaggi, in una novella horror siano credibili (nell’Overlook Hotel, l’isolamento invernale da un lato ed una concretissima pressione della caldaia da tenere continuamente sotto controllo scandiscono il ritmo del romanzo, classici elementi da psicodramma e roleplay teatrale), laddove anche i dialoghi e lo svolgersi delle azioni più semplici si presentano del tutto normali (colloquio di lavoro di Jack, la presentazione iniziale dell’Hotel), allora sì che il lettore dimentica di trovarsi ovunque si trovi in quell’istante e, prima che se ne renda conto, le sue reti neurali lo trasportano in una realtà parallela.
A quel punto, egli è stato accalappiato dalla calamita dell’intreccio e, oramai, crede: la storia è pronta a colpirlo, nel suo inconscio e nella sua memoria visiva si fa ricorso a tutta una serie di immagini e ricordi che scatenano – o dovrebbero scatenare – le giuste emozioni che fanno di quel racconto, un racconto horror.
Già, le giuste emozioni.
   Quali sarebbero, queste emozioni legate all’orrore? 
Apro Treccani e leggo: 
orróre s. m. [dal lat. horror -oris, der. di horrere (v. orrido)]. – 1. a. Impressione violenta di ribrezzo, di repulsione, di spavento, provocata nell’animo da cose, avvenimenti, oggetti, persone che siano in sé brutti, crudeli, ripugnanti e sim.: vista, spettacolo, racconto che fa (o mette, suscita, desta, ispira, incute) o.; misfatti che riempiono di o.; provare o. alla vista del sangue; essere preso, compreso, còlto, invaso da o., da un senso di o.; rabbrividire, fremere d’o.; un brivido, un moto, un gesto d’o.; un grido di o. si levò dalla folla; film dell’o. (e con sign. collettivo cinema dell’o., per indicare il genere), basati sull’orrido e sul macabro (v. horror).
   Ovviamente, gli esempi sono innumerevoli, ma ho voluto fermarmi qui.
L’orrore è, dunque, qualcosa di brutto e fastidioso alla vista, ma anche al pensiero e all’anima; nella terza pagina di questo blog, quella dedicata al mio libro (leggi QUI, oppure scorri in alto, sotto al titolo del blog, e clicca su Gli incontri del cimitero di C.) già parlo di questa parola, e non voglio ripetermi; in questo post mi soffermo sul come scrivere qualcosa di orrorifico.

   Bene, adesso so che voglio essere fedele alla realtà - agire e non recitare, diceva il buon Stanislavskij - ho inquadrato il giusto sentimento da concretizzare (orrore, non solo suspense), non mi resta altro che scegliere la trama della mia storia: cosa racconterò? 
Ora, se mi è rimasta, miei cari bimbi sperduti, un minimo di coerenza, non continuerò questo articolo accennando a come tecnicamente si crea un intreccio, di quali parti è composto un racconto, come svilupparlo, come concluderlo perfino. Per quello ci sono già i 2.710.000 risultati di cui sopra.
Io vi sto accennando ad altro.
Vi sto dicendo che se vi metterete alla tastiera così, all’improvviso, decidendo di scrivere un racconto horror come si decide di fare un panino con la marmellata, allora sappiate che probabilmente il panino con la marmellata regalerà alla vostra autostima una dose ben maggiore di energia positiva, perché sarà il vostro risultato migliore.
Con me funziona in un modo diverso, anche se mangio parecchia marmellata.
   La paura di un racconto deve nascere dentro di me, e deve funzionare.
Quando vado a letto, quando mi alzo, quando vado in giro, se mi faccio la doccia, se passeggio col cane, se medito - soprattutto se medito – quando sto per addormentarmi o sono al pc per un altro motivo, e perfino mentre sto chiacchierando con qualcuno… in tutti questi momenti allevo dentro il mio pensiero quel germe di storia che sto per scrivere, per capire come va, in che modo potrebbe svilupparsi, al di là dei dettagli che, magari si potrebbero perdere, ma con carta e penna a portata di mano posso trattenere.
Scrivo il finale, a volte, anzi spesso, cercando di capire se è teatrale secondo i miei canoni (ricordate, il vero di Stanislavskij?), se i personaggi, gli oggetti in scena sono realistici.

   Io faccio una gran fatica ad approcciarmi al fantasy. 
Un mio caro amico ha letto Gli incontri del cimitero di C. ed altri racconti dell’orrore (lo vuoi leggere? Clicca QUI), mi ha detto “sai Roby, nonostante le trame assolutamente imprevedibili, rimani razionalista”.
Ha ragione, e perfino se devo descrivere un fantasma, faccio appello ai fenomeni della fisica.
Il mio maestro è Edgar Alla Poe.
Voi direte “Ma come, un visionario come Poe?”. 
No, miei cari, quello era realismo allo stato puro, erano i temi a far spaventare: non confondete l’argomento trattato con lo stile di scrittura o l’intreccio utilizzato. 
Ne Il pozzo e il Pendolo il protagonista vive un incubo a sogni aperti, una tortura sensoriale continua; parrebbe un racconto onirico, ma funziona perché realistico a tutti gli effetti, tant’è che tutti noi abbiamo letto – e, forse, visto anche al cinema – cos’era in grado di fare il braccio armato dell’Inquisizione Spagnola, e più ci addentriamo nell’intreccio del racconto di Poe, più rimandiamo le immagini raccontate a fatti che sappiamo esser realmente esistiti, e perciò orripilanti.
Questa è verità, questo è orrore.

Bene.

   Il passo successivo è la pazienza.
Se davvero ho ascoltato un’idea, l’ho accolta, mi ha fatto paura, i personaggi che penso faranno parte della storia e i contorni sono credibili, allora non mi resta che aspettare.
Mai nulla è stato devastante per un’idea creativa quanto la fretta.
   Ed infatti, aspettando, moltissime idee si sono dissolte nell’etere, perché depositato il loro nettare fragolino e fragrante, hanno scoperto la loro vera identità fatta di parole al vento, idee banali e sicura perdita di tempo per me e per fortunati mai lettori.
I racconti di cui mi sono innamorato li ho tenuti a mente per molto, molto tempo, prima di scriverli, e poi, quando mi sono deciso, li ho messi giù in pochissime ore.
   Non vi spiegherò nessuno dei miei metodi, ma sappiate che alcune novelle che trovate ne Gli incontri del cimitero di C. ed altri racconti dell’orrore hanno preso forma in una sola notte, e sottolineo una, salvo poi essere revisionati anni dopo, come spiego nel libro stesso.
Badate, alcuni li ho scritti a macchina, con una foga incredibile, rapito da una forza inarrestabile.
Sapete come si dice? Dal tramonto all’alba. Proprio così, dal tramonto all’alba, con le dita doloranti.
   Da diversi mesi, per esempio, c’è una storia che mi gironzola in testa, è già tutta lì; avrei potuto partecipare a qualche gara di narrativa noir, questa estate, ma non l’ho fatto, perché preferisco aspettare il momento giusto per cominciare a scrivere.
So che i tempi sono quasi maturi, perché la storia fa paura, e mi stanno venendo in mente addirittura già le singole frasi da inserire in momenti cruciali; ci vuole pazienza.

   Cosa volete che vi dica, forse un grande scrittore affermato non può permettersi il lusso di aspettare, ma io, per il momento, sono ancora libero di spaventarmi come e quando mi pare.

A proposito di verità, godetevi questo momento attoriale sublime.
L'avete riconosciuto, è Shining di S. Kubrick. Jack Nicholson interpreta Jack Torrence, qui durante il colloquio iniziale, grazie al quale il protagonista otterrà il lavoro di custode. 
Un dialogo davvero incredibile.
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