Se fossi davvero capace di scrivere, al posto di un blog farei un libro, e diventerei ricco.

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martedì 21 giugno 2022

Post n.52: Vita, Ironia e Paura (Ed ecco il post di cui avevate davvero bisogno)


Miei cari referendati lettori, come state?

   Siete ancora confusi dagli articoli di giornale che sparano numeri a cazzo sui risultati del Referendum 2022, o finalmente vi siete chiariti le idee su come rigurgita l’informazione in Italia?

   Questo sarà un post romantico – oh, Rò, si vede dall’incipit – ma prima volevo farmi quattro risate con voi sul fatto che non c’è una testata che riporti numeri uguali sul referendum, e soprattutto “versioni dei fatti” uguali alle altre; per carità, la diversità è bella, e bla bla bla, ma se sul sito del Governo Italiano c’è scritto che il numero ufficiale di personcine chiamate a votare è 50.915.402 (leggi QUI I DATI UFFICIALI), perché sparare numeri ad minchiam oppure, dopo qualche giorno, far sparire dagli articoli online questo specifico dato, scrivendo solo delle parzialissime percentuali?

   Anche le postille dei giornalisti sono simpatiche, tipo quella che ho letto un po’ ovunque, che recita più o meno “vittoria schiacciante del 5° quesito, che ha raggiunto il 72%”.

Ora, non vorrei essere troppo pignolo, ma l’affluenza al referendum è stata in media del 20.9%; facendo finta che proprio fra questi valorosi votanti salta fuori il suddetto 72% (a proposito, io ho fatto il mio dovere, e voi?), in matematica si traduce in 1 x 0,2090 x 0,72 = 15,05% del totale; cioè, esiste un corposo restante 84,95% della popolazione fatto di gente che se n’è sbattuta altamente le pallette del quesito ed ha preferito abbronzarsi in spiaggia, sommata a quelli che hanno votato NO.

Se voi foste giornalisti scrivereste “vittoria schiacciante con il 72% per il SI”?

   Eh lo so, con tutti questi numeri sei confuso, ma ricordati che l’unica stella per orientarti sei te stesso: tu e la tua vita (sì sì, sono passato dal voi al tu, ma è il mio blog, è il mio monologo, e faccio un po’ quello che mi pare, va bene?).

Già, la vita.

A questo punto dovrebbe partire una qualche musica blues, o ambient, da filmetto anni ’80 di quarta categoria.

La vita che non hai scelto di vivere come qualcuno ti obbliga a credere da sempre, incolpandoti di qualsiasi stronzata ti capiti, ma che ti piomba addosso di giorno in giorno, con la stessa imprevedibilità del ragno che sbuca all’improvviso dal colletto della tua maglia, e che era rimasto lì, per un giorno intero senza neanche farsi sentire.

Un flusso continuo di eventi ripetitivi eppur strani, inafferrabili, che ti costringe a fare sempre passi avanti, senza darti il tempo di fermarti per riposare, e pensare.

Il susseguirsi meraviglioso di sole e luna, notte e giorno, albe cinerine e tramonti agrumati, costellazioni che non riuscirai mai a collocare nel punto giusto della tua memoria, e nuvole paffute che galleggiano sornione.

   La vita, mio sudaticcio e piagnucoloso bimbo sperduto nella penisola che purtroppo c’è, quella incredibile somma di ore che butti nel cesso sperando che ci sia un domani migliore, un domani in cui sarai più allegro e fortunato, più sano e simpatico, più ricco e ben voluto, e soprattutto meno sfigato di adesso.

Beh, lascia che ti dia una notizia scientifica: quel domani non esiste, lo scarico del cesso prima o poi si intaserà e, non esistendo un idraulico in grado di risolvere problemi esistenziali, finirai - prima o poi - sommerso in un bel mare di merda.

Tutta la tua merda.

Perché quel figlio non uscirà più con te, domani, se non ci esci adesso, e lo stesso vale con quel fratello, quell’amica, quel padre, quel cazzo che ti pare.

E, attento, anche tu stesso, non uscirai più da solo, se non lo fai adesso.

Perché uscire da soli fa bene. Uscire per uscire, non per svolgere una qualche mansione.

Parlare col barista, con nessuno, scrivere pensieri su fogli di carta, mettere le mani in tasca e passeggiare fra le foglie, respirare, ascoltare la musica che cazzo questa non la sentivo da vent’anni, piangere, mangiare schifezze, alzarsi di notte e ascoltare le rane.

Ridere.

Non si può smettere di ridere.

Ed ecco, ecco l’altra stella polare, l’ironia.

   Qualche giorno fa vado a prendere di che nutrirmi alla piadineria di fiducia; mentre attendo che mi consegnino il cibo, entra un ragazzone alto, piazzato, che si rivolge alla piadinara con tono serissimo, e dice «è un problema se sono entrato senza avvisare prima?»

Lei, molto affabile, non coglie neanche la domanda perché, cazzo, non le sembra vera, e gli chiede di ripetere, e il ragazzo dall’aspetto imponente ripete, con lo stesso identico tono: «è un problema se sono entrato senza avvisare prima?»

Io non mi trattengo, e col sorriso dico «Beh, se non sei la Finanza no», e ridiamo sommessamente tutti.

Il tipo è serissimo. Le risate si chiudono lì. La piadinara smorza il momento di imbarazzo e lo serve.

Capisci cosa intendo per ironia?

L’ironia alleggerisce il tuo cammino, ed è come fare acquagym sulla luna anziché sudare come una bestia in piscina.

   Che bella immagine eh? Il cinghialetto che salta come un matto sotto l’acqua a ritmo di zumba mentre sulla luna c’è un ippopotamo che salta leggiadro di roccia in roccia, di cratere in cratere, restando sulla punta dei piedi, senza la benché minima fatica.

Io sono l’ippopotamo, amico, perché ci rido su, tu il cinghialetto.

Trattenere i sorrisi non serve a un cazzo.

La tua vita è fragile, è piccola cosa, cosa pensi di risolvere tenendola tutta per te?

   Gli oggetti luccicanti su cui posi il culo e che mostri agli altri genitori, la mattina davanti all’asilo, sono solo un ammasso di materie prime estratte probabilmente in paesi dove lo sfruttamento di risorse minerarie genera disastri geologici ed umanitari; io, se fossi in te, non sarei tanto contento di farmici vedere sopra, soprattutto a motore acceso, mentre inquino l’aria e contribuisco felice all’avvento delle prossime stagflazioni mondiali.

La vita è qualcosa di più.

Un soffio, una poesia.

Un rutto.

Ah sì, ho rovinato il testo?

E perché? Sentiamo, perché ho scritto “rutto” dopo “poesia”?

E dimmi un po’, milord, da quanto tempo non rutti più, eh?

Liberamente, apertamente, felicemente, animalescamente.

   Da quanto tempo non ti compri un bel pacchetto di patatine salatissime, una bella birra fresca, o una qualunque bibita gassata, e ti fermi per strada per farti uno spuntino per i cazzi tuoi, felice di sgranocchiare con calma e gusto quelle specie di sottoprodotti di tubero industriale, ti lecchi le dita, e poi bevi a canna senza sosta fino a fare un bel sospirone.

Glùppete Glùppete Glùppete: Ahhahahhh.

E poi, ti alzi, ti pulisci le mani, e torni a quello che stavi facendo, alla finta vita che ti vuole rapire a tutti i costi, il lupo nero del nulla con zanne lunghe e bianchi occhi senza vita della Storia Infinita, che corre e corre e mangia tutta la realtà che ti circonda, i colori, le emozioni, la fantasia, e ti fa scappare col cuore in gola.

Hai paura, una paura che non sai definire, atavica, paura degli altri, paura del lavoro, paura della notte, paura del sesso, paura della povertà, paura del cibo, paura della malattia, paura della paura.

   La paura è una sola, amico mio, la paura è Paura, ed è quella che non ti lascia sorridere al cameriere che ti sta servendo, che non ti fa salutare le persone in spiaggia dopo tre ore che ci stai accanto e loro si alzano per andare a casa, e più volte i loro bambini avevano mandato la loro palla verso di te, ma tu sorridendo avevi detto “non importa”, quella che non ti fa andare al concerto del tuo gruppo preferito che finalmente di esibisce a pochi chilometri da casa tua, e il prezzo del biglietto è incredibilmente abbordabile, ma tu quella sera resterai a casa e farai finta di niente.

La paura è quella che non ti fa fare l’attivista per cause in cui credi, quella che non ti fa scrivere anche se lo sai– o sì, lo sai – che scrivi benissimo quando ti ci metti, quella che non ti fa iniziare un corso che ti piace anche se è gratis perché offerto da un qualche ente.

La paura che non ti fa cucinare i tuoi piatti preferiti, e ti adegui alla merda preconfezionata, la paura di cambiare abitudini, la paura di fare un viaggio, anche brevissimo, la paura degli animali.

Gli animali.

   Ho lavorato a contatto con gli animali, in una fattoria didattica.

All’alba, l’asino ti guarda fisso negli occhi, in silenzio, per diversi minuti, poi muove le orecchie, ti tira una piccola testata, e se ne va.

Le oche ti girano intorno, in silenzio, perché urlano solo a chi le tratta male.

I cavalli si fanno un po’ i cazzi loro, odiano farsi toccare.

Le tartarughe mangiano un po’ di insalatina, ma per lo più riposano all’ombra, tranquille.

Il maiale ha fame e mangia come un porco tutti i pastoni che gli prepari, ma non vuole coccole.

Il gatto, mmhh.. il gatto, caccia i topi, e poi rompe le palle perché vuole il cibo in crocchette, anche se stai lì a lavorare con i bambini della scuola.

Le mucche.
Le mucche ti guardano con gli occhi grandi e profondi, abbassano la testa, si spostano, mangiano la loro biada, sbuffano, e aspettano inconsapevoli la loro fine.

I tori sono tori, e fanno i tori, non ti consiglio di avvicinarti troppo.

Le pecore hanno una paura fottuta degli esseri umani, a buon ragione, e se le spaventi, cadono di botto, irrigidite. I bambini si divertono a fare questa cosa, perché sono innocentemente cattivi.

Tutto cambia, fra gli animali.

Devi rispettare i loro tempi, e amare i loro odori.

La merda delle mucche profuma di biada, è l’ammendante misto che puzza e di cui ti lamenti come un moccioso viziato quando guidi a tutta velocità, e anche se hai l’aria condizionata e i finestrini tirati su, l’odore arriva comunque dai campi appena concimati dentro al tuo mondo metallico.

   Quando stai con gli animali, ed entri in sintonia con loro, capisci che la tua paura di vivere forse è solo un costrutto della società umana, qualcosa di cui puoi fare benissimo a meno.

Fare a meno della paura, per vivere, e ridere.
Io non so come, mio caro lettore, altrimenti mi sarei laureato in psicologia ed avrei chiesto soldi per dare consigli agli altri, ma una cosa posso dirtela: tutte le volte in cui ho smesso di avere paura, ho fatto cose grandiose, che nessuno potrà mai cancellare dalla mia esistenza.

E, stanne certo, le rifarei.

Brano musicale: Se ti potessi dire, Vasco Rossi
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2 commenti:

Ishtar ha detto...

Non esiste una formula magica unica adatta a tutti, ognuno trova il proprio modo per vivere, l'importante è non perdere il momento perché intrappolati in vane aspettative, nell'attesa di un ipotetico domani ideale, perché la vita è ora :)

Roberto "Rò" D'Izzia ha detto...

Fortunatamente siamo tutti diversi. Sono contento di leggere il tuo commento, gran piacere 🙏🧠