Miei cari bimbi sperduti nella penisola che purtroppo c'è,
come state?
Avete
comprato il contagocce per consumare con parsimonia le vostre risorse d’acqua,
in vista della prossima guerra post atomica in stile MadMax?
No,
scusate, faccio subito marcia indietro, questo è un post che nasce dal cuore
come tutti gli altri, ma non si trasformerà in satira pungente o qualcosa del
genere; ho preso la tastiera in mano per trasformare lacrime in parole, perché
in questi giorni sento la mancanza di una persona che - a sua insaputa,
ovviamente – è stata punto di riferimento molto importante nella mia vita.
Non ci
crederete, ma questo è un post dolce e tremendamente sentimentale.
(ma smettila!)
Ho già scritto di lui, il giorno in cui è morto, nel vecchio blog (leggi il post Caro amico, ti scrivo) e non sto a ripetere il perché mi ha influenzato dall’infanzia, tantomeno a ripescare dalla memoria ricordi falsati da anni di vita psichedelica e fuori controllo.
Ognuno di
noi mitizza il periodo d’infanzia, ci si attacca come un mitile, fino a
diventare esso stesso una cozza attaccata furiosamente al palo sommerso della
propria emotività arcaica, ed è per questo motivo che spesso i ricordi si
confondono con le fantasie, quelle passate e quelle presenti.
Piuttosto,
ho voglia di scrivere l’emozione che mi dà ascoltare la sua
capacità creativa, davvero sorprendente se si pensa che non studiò al
conservatorio, e che ogni volta mi lascia basito.
Certo, non
tutte le ciambelle vengono col buco, e non essendo io un feticista, evito di
spararvi cazzate del tipo “ah, tutte le sue canzoni sono capolavori”; non è
vero, trovo che alcuni brani di Lucio siano davvero inascoltabili, così come lo
sono alcuni brani di Vasco, e altri di Rino Gaetano o Giorgio Gaber – così vi ho citato i miei
artisti di riferimento, e potete tirarmi dietro le vostre inutili pietre.
Scrivere
una canzone è un atto creativo davvero complesso.
Per
scrivere pezzi come 1983, Henna, La Signora, Il cucciolo Alfredo, Felicità, Mambo o, naturalmente, l’eterna L’anno che verrà ci vuole anche un tocco di follia, qualcosa che nessun altro farebbe al posto
tuo, ma che tu senti e sai di poter fare.
Mh, sorrido,
miei sbandati lettori, perché un istante dopo aver scritto le suddette, apro il
dizionario Treccani, e alla parola Follìa trovo la spiegazione “[…]In senso
concr., atto da pazzo, cioè temerario o imprudente, […]: fare, commettere delle
f.; ritengo una f. mettersi in mare con quest’uragano; e di cose che si
ritengono irrealizzabili, impossibili[…]”.
Beh, penso
a Lucio Dalla che dirige l’orchestra di Sanremo, o crea un programma in prima
serata su Raiuno con Sabrina Ferilli e lo intitola La bella e la Besthia (con
l’acca), che produce un vino in Sicilia chiamato Lo stronzetto dell’Etna (appellativo
ricevuto da Carmelo Bene dopo una sbornia), lo rivedo che si presenta ad un
evento indossando un’enorme testa da cavallo di gomma, oppure che gira per
strada – come racconta la zia di un mio amico – in accappatoio di primo mattino.
Ecco che
improvvisamente la parola follia perde la sua accezione negativa e fastidiosa,
ed improvvisamente diviene ingrediente necessario per la miscela segreta di
tanta virtù musicale, l’unica spiegazione possibile per le capacità autoriali,
ma anche strumentali, del piccolo grande compositore.
Potreste obiettarmi
che la storia è piena di geni musicali, ed io vi contro-ribatto che non me ne
frega un cazzo, che è banale confrontare tanti artisti diversi, e soprattutto
questo è un post su Lucio Dalla, non la lista della spesa.
Ascoltare i
primi ventisei secondi di Com’è profondo il mare vuol
dire essere trasportati improvvisamente in una dimensione parallela, una messa
in scena lattiginosa sospesa nell’aria in cui si svolge la tragedia in atto
unico della società moderna, e Lucio lo sapeva, per questo giocava molto con la
sua teatralità, anzi, Lucio era teatro-canzone.
Questo mi sconvolge.
Com’è possibile che io rimanga così colpito da un brano che ho sentito e
risentito centinaia, migliaia di volte nella mia vita?
Com’è
possibile che nel cantare la prima strofa della già citata L’anno che verrà l’emozione
mi soffochi la gola, e non riesca a tirare fuori una parola?
Se mi
trovassi ancora davanti a Lucio, questa volta forse gli parlerei da uomo adulto,
o rifarei la stessa cosa stupida che ho fatto tanti anni fa stringendogli la
mano, e cioè starei zitto: l’emozione è nostra nemica.
La luna è
sempre la stessa puttana che si prende gioco di noi, di tanto in tanto, le
stelle sono là, a ricordarci che siamo solo polvere, i cani abbaiano in
lontananza, gli amici innamorati fra loro sulle panchine di Rimini non si
vedono più perché i tempi cambiano.
Siamo
ancora fra le tenaglie di Russi e Americani, ma tutto è confuso, tutto diventa banale,
tutti sono lupi.
Fra vent’anni
chi lo sa, forse i telefoni non ci saranno neanche più, non ci toccheremo più, e
probabilmente la moda del momento sarà mettersi lo stronzo nella fronte, ma
nessuno si ricorderà il perché.
Sì, molto poetica
come idea, ma è una cazzata patetica da blog; quando incontri uno non puoi
dirgli tutte queste cose.
E allora, se incontrassi Lucio Dalla, gli direi: ma sai che dove abito adesso è pieno di rondini, tutte le sere le sento cantare e penso a te?
Brano musicale: Le Rondini, Lucio Dalla
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