Se fossi davvero capace di scrivere, al posto di un blog farei un libro, e diventerei ricco.

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domenica 26 giugno 2022

Post n.56: Lucio Dalla

Miei cari bimbi sperduti nella penisola che purtroppo c'è, come state?

Avete comprato il contagocce per consumare con parsimonia le vostre risorse d’acqua, in vista della prossima guerra post atomica in stile MadMax?

   No, scusate, faccio subito marcia indietro, questo è un post che nasce dal cuore come tutti gli altri, ma non si trasformerà in satira pungente o qualcosa del genere; ho preso la tastiera in mano per trasformare lacrime in parole, perché in questi giorni sento la mancanza di una persona che - a sua insaputa, ovviamente – è stata punto di riferimento molto importante nella mia vita.

   Non ci crederete, ma questo è un post dolce e tremendamente sentimentale.

(ma smettila!)

   

Ho già scritto di lui, il giorno in cui è morto, nel vecchio blog (leggi il post Caro amico, ti scrivo) e non sto a ripetere il perché mi ha influenzato dall’infanzia, tantomeno a ripescare dalla memoria ricordi falsati da anni di vita psichedelica e fuori controllo.

Ognuno di noi mitizza il periodo d’infanzia, ci si attacca come un mitile, fino a diventare esso stesso una cozza attaccata furiosamente al palo sommerso della propria emotività arcaica, ed è per questo motivo che spesso i ricordi si confondono con le fantasie, quelle passate e quelle presenti.

   Piuttosto, ho voglia di scrivere l’emozione che mi dà ascoltare la sua capacità creativa,  davvero sorprendente se si pensa che non studiò al conservatorio, e che ogni volta mi lascia basito.

Certo, non tutte le ciambelle vengono col buco, e non essendo io un feticista, evito di spararvi cazzate del tipo “ah, tutte le sue canzoni sono capolavori”; non è vero, trovo che alcuni brani di Lucio siano davvero inascoltabili, così come lo sono alcuni brani di Vasco, e altri di Rino Gaetano o Giorgio Gaber – così vi ho citato i miei artisti di riferimento, e potete tirarmi dietro le vostre inutili pietre.

   Scrivere una canzone è un atto creativo davvero complesso.

Per scrivere pezzi come 1983, Henna, La Signora, Il cucciolo Alfredo, Felicità, Mambo o, naturalmente, l’eterna L’anno che verrà ci vuole anche un tocco di follia, qualcosa che nessun altro farebbe al posto tuo, ma che tu senti e sai di poter fare.

   Mh, sorrido, miei sbandati lettori, perché un istante dopo aver scritto le suddette, apro il dizionario Treccani, e alla parola Follìa trovo la spiegazione “[…]In senso concr., atto da pazzo, cioè temerario o imprudente, […]: fare, commettere delle f.; ritengo una f. mettersi in mare con quest’uragano; e di cose che si ritengono irrealizzabili, impossibili[…]”.

   Beh, penso a Lucio Dalla che dirige l’orchestra di Sanremo, o crea un programma in prima serata su Raiuno con Sabrina Ferilli e lo intitola La bella e la Besthia (con l’acca), che produce un vino in Sicilia chiamato Lo stronzetto dell’Etna (appellativo ricevuto da Carmelo Bene dopo una sbornia), lo rivedo che si presenta ad un evento indossando un’enorme testa da cavallo di gomma, oppure che gira per strada – come racconta la zia di un mio amico – in accappatoio di primo mattino.

   Ecco che improvvisamente la parola follia perde la sua accezione negativa e fastidiosa, ed improvvisamente diviene ingrediente necessario per la miscela segreta di tanta virtù musicale, l’unica spiegazione possibile per le capacità autoriali, ma anche strumentali, del piccolo grande compositore.

Potreste obiettarmi che la storia è piena di geni musicali, ed io vi contro-ribatto che non me ne frega un cazzo, che è banale confrontare tanti artisti diversi, e soprattutto questo è un post su Lucio Dalla, non la lista della spesa.

   Ascoltare i primi ventisei secondi di Com’è profondo il mare vuol dire essere trasportati improvvisamente in una dimensione parallela, una messa in scena lattiginosa sospesa nell’aria in cui si svolge la tragedia in atto unico della società moderna, e Lucio lo sapeva, per questo giocava molto con la sua teatralità, anzi, Lucio era teatro-canzone.

Questo mi sconvolge. Com’è possibile che io rimanga così colpito da un brano che ho sentito e risentito centinaia, migliaia di volte nella mia vita?

   Com’è possibile che nel cantare la prima strofa della già citata L’anno che verrà l’emozione mi soffochi la gola, e non riesca a tirare fuori una parola?

  Se mi trovassi ancora davanti a Lucio, questa volta forse gli parlerei da uomo adulto, o rifarei la stessa cosa stupida che ho fatto tanti anni fa stringendogli la mano, e cioè starei zitto: l’emozione è nostra nemica.

 
   Gli direi, forse, caro Lucio Dalla, il mare del pensiero è davvero profondo sai?

La luna è sempre la stessa puttana che si prende gioco di noi, di tanto in tanto, le stelle sono là, a ricordarci che siamo solo polvere, i cani abbaiano in lontananza, gli amici innamorati fra loro sulle panchine di Rimini non si vedono più perché i tempi cambiano.

Siamo ancora fra le tenaglie di Russi e Americani, ma tutto è confuso, tutto diventa banale, tutti sono lupi.

   Fra vent’anni chi lo sa, forse i telefoni non ci saranno neanche più, non ci toccheremo più, e probabilmente la moda del momento sarà mettersi lo stronzo nella fronte, ma nessuno si ricorderà il perché.

   Sì, molto poetica come idea, ma è una cazzata patetica da blog; quando incontri uno non puoi dirgli tutte queste cose.

E allora, se incontrassi Lucio Dalla, gli direi: ma sai che dove abito adesso è pieno di rondini, tutte le sere le sento cantare e penso a te?

 

Brano musicale: Le Rondini, Lucio Dalla

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